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Lincantesimo del castello

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L’incantesimo del castello:

una fiaba sul potere della parola.

Introduzione

     La parola incantesimo deriva da “in-cantare” e allude a un canto che, dotato di una particolare forza, produce degli effetti: l’incantamento, appunto. E in effetti una delle definizioni[1] di incantesimo presente nel dizionario etimologico Zanichelli è “recitare formule o compiere atti che producano effetti soprannaturali”. Tra gli ‘effetti soprannaturali’ è annoverato uno stato di ‘assenza mentale‘ o vuoto della mente che permette, appunto, all’incantesimo, di agire.

    In riferimento a queste formulazioni è chiaro il rischio, sempre presente, che la storia collettiva possa svolgersi secondo un incantesimo o ipnosi di massa. Ne sono una drammatica testimonianza tutti i periodi storici dominati dagli  –ismi (fascismo, nazismo, comunismo) e dalle varie ideologie ‘religiose’ e politiche, ancora imperanti, che hanno causato morti fisiche e non solo,  recidendo alla sorgente l’evoluzione della civiltà.

       ‘Guide’ politiche e religiose, strateghi degli affari e oratori sano benissimo che la parola crea. Ma la parola può anche uccidere, distruggere, attraverso la menzogna, l’inganno e l’intenzione di nuocere: ecco l’incantesimo negativo che asporta, con un diabolico atto di chirurgia verbale, l’autostima, fino a immobilizzare. Occorre, quindi, un contro-incantesimo. Una fata buona o sciamana può, allora, riuscire a ricucire la trama di una vita sclerotizzata nella prigione del vecchio sortilegio. E quello che cerca di fare, in questo racconto, una stella: riportare alla memoria una storia spezzata, rimetterne insieme i pezzi attraverso un racconto capace di esercitare un contro-incantesimo, rompendo l’ipnosi. 

*****

     C'era una volta un bellissimo castello disabitato, che si ergeva sopra una collina fiorita. Nelle limpide notti la luna faceva risplendere la sua porta d’oro sulle quattro torri, svettanti come cime di cipressi. Tuttavia, il ponte levatoio era sollevato ed il castello era inaccessibile. A poca distanza da esso sorgeva un piccolo villaggio, ma nessuno degli abitanti conosceva la storia del castello: chi lo avesse abitato o quando fosse stato eretto. Alcuni raccontavano che fosse stato la dimora di un cavaliere, morto durante le sue gesta. Pare che qualcuno avesse visto il cavaliere ergersi come una statua di neve, in un gelido mattino d’inverno, proprio innanzi alla porta d’oro. Qualcun altro asseriva, invece, che il castello fosse stato abitato da una maga.

     Tutte quelle voci arrivarono al castello, che si stancò delle dicerie sul suo conto. Per quanto riguardava la sua storia, egli non la ricordava, come se il tempo fosse trascorso al di fuori della sua consapevolezza. E mentre le dicerie aumentavano (c’era chi parlava anche di orchi e mostri mangia bambini), il castello rimaneva lì, con la sua verità inesplorata. Nessuno, infatti, aveva osato di abbassare il ponte per aprire la porta d’oro e inoltrarsi nelle sue stanze.

     Gli abitanti di quel piccolo villaggio erano completamente assorbiti dai traffici commerciali e dal disbrigo delle faccende quotidiane e avevano una gran paura dell'ignoto. E diffondevano dicerie sul suo conto quando non erano indaffarati, solo per non morire di noia.

     Il castello soffriva molto per questa incomprensione, mischiata all’indifferenza. Si sentiva molto solo e in segreto desiderava che qualcuno bussasse alla sua porta dopo aver attraversato il vecchio ponte levatoio, che tanto avrebbe voluto abbassare. Ma qualcosa lo fermava. E poi nessuno sembrava veramente interessato a entrare nelle sue stanze. Egli era, semplicemente, per quella gente, il bersaglio di critiche e pettegolezzi. Nelle tristi sere, ricordava i tempi in cui la natura era tanto rigogliosa che, attorno a lui, si svolgevano incontri e banchetti con creature alate, fate e animali selvatici. Desiderava ancora quella compagnia, che il rapido processo di urbanizzazione aveva allontanato. Ben presto l’isolamento esteriore produsse un più profondo isolamento interiore. Nonostante si sentisse solo e ferito, non desiderò più la compagnia di alcuno e una patina di ghiaccio iniziò a circondarlo.  

    Ma una sera qualcosa cambiò. Quando il cielo si faceva scuro e le stelle iniziavano a brillare attorno ad esso compariva una stella mobile, simile a una pallina luminosa. Questa, dopo aver esplorato le sue torri e sorvolato le sue mura, se ne tornava in alto, scomparendo nel cielo di velluto. Il castello iniziò a cercarla tutte le notti e il giorno non pensava a nient’altro che a quelle strana stella e al momento in cui l’avrebbe rivista. La stella era apparsa, la prima volta, in una notte di luna rossa.

Quando la stella scompariva, il castello tornava alla sua immobilità glaciale. Ma la stella, pian piano, si affezionò moltissimo al castello. Anche a lei arrivavano le dicerie della gente, ma erano di poco conto per un astro così brillante e alto. Ella venne a visitarlo di nascosto, in pieno giorno, violando l’ordine celeste e vide con i suoi stessi occhi la patina di gelo che lo circondava. Capì subito che si trattava di un incantesimo!

 La stella pianse quando comprese dell’incantesimo e decise di liberare il castello dalla maledizione, che aveva bloccato il suo ponte. Cercò di parlare al castello, gli suggerì di ricordare il motivo di tanta solitudine, ma questi non le rispondeva e la sua immobilità la riempiva di tristezza. Allora chiese aiuto al gran consiglio delle stelle ma queste si rifiutarono di offrirle sostegno adducendo, come scusa, che le stelle non possono intervenire, di proprio arbitrio, nelle vicende umane. In realtà, molte tra queste erano invidiose della sua iniziativa.

     La stella andò ogni notte a trovare il suo castello, ma nulla cambiava e lei non sapeva come aiutarlo. Col tempo, però, iniziò ad accadere qualcosa. Man mano che la distanza tra la stella e il castello diveniva più piccola, lei sentì una musica diversa da quella a cui era abituata e che derivava dal moto di rotazione degli astri. Capì che quella musica era pregna della tristezza del castello e in essa, era incisa una richiesta d’aiuto. Fu così che, in una di quelle notti passate accanto al suo castello, vide un'altra piccola stella errante. Cercò di fermarla, prima che scomparisse, perché è difficile raggiungere le stelle erranti: esse vengono per un preciso scopo e lasciano i loro messaggi sotto forma di scie luminose, prima di riprendere il loro viaggio. La stella riuscì a fermare la sua ‘collega errante’ e non si stupì del fatto che sapesse tutto di lei e di quanto fosse importante, nella sua vita, il castello. Prima di riprendere il suo viaggio, la stella errante le lasciò una parola incisa in una chiave magica, che le consegnò. Sulla chiave era incisa una parola: RACCONTA. La stella lesse e dopo aver sollevato la testa per guardare la sua amica, questa era già scomparsa, lasciando una lunga scia luminosa e brillante nel cielo.

La stella si allontanò prima dell’alba, indugiando su quel messaggio. Cosa avrebbe dovuto raccontare al suo castello, per rompere il sortilegio? Ci pensò su qualche giorno. Ciò che desiderava raccontargli era il suo affetto e voleva farlo in una lingua leggera, indiretta, che non scalfisse le sue pareti, già così ferite dal gelo e dall’abbandono: un linguaggio leggero come l’aria. E così, la sera seguente, decise di ritornare da lui con questa speranza luminosa nel cuore, come se questo, come un baule magico, si fosse aperto. Da esso sarebbero fuoriuscite le gemme prescelte delle sue parole nuove. E se non le avesse trovate, le avrebbe inventate, seguendo la musica del suo cuore. Così, dondolando di gioia nel cielo, si lanciò in picchiata come un gabbiano ma, quando tornò dal suo castello, non lo vide più. La collina era deserta e i fiori erano appassiti. Tutto il paesaggio era spoglio e immerso nel gelo. Lo sgomento la paralizzò. Non ebbe nemmeno la forza di chiamarlo. Rimase lì, come paralizzata, fino a quando scorse una lupa. Pensò che potesse aiutarla e le si avvicinò, per interrogarla. La lupa le ringhiò contro, ma lei non ebbe paura. Tuttavia, da questo, la stella intuì che essa non solo non voleva aiutarla, ma che c’entrasse qualcosa con la scomparsa del castello.

Poi, inaspettatamente, la lupa parlò.

“Cerchi il tuo castello? Beh, come vedi, non è più qui… Ah Ah Ah….”

“Chi ha spostato il castello?” chiese, certa, ormai, che lo sapesse.

La lupa, allora, le raccontò la storia dell’incantesimo che aveva subito il castello. Le disse che una donna era stata fidanzata al castello. Ma, un giorno, il castello aveva iniziato a pensare che fosse una donna malvagia. Allora, dopo un lungo litigio amoroso, l’aveva lasciata. Ma ella aveva fatto rimanere in esso le sue unghie, dicendo che sarebbe tornata a riprendersele e avrebbe preso anche lui. La stella inorridì e la natura della lupa si mostrò: essa era, in realtà, la strega del sortilegio e certamente, era responsabile della sua scomparsa! La stella fu cauta, perché temeva che quella folle creatura avrebbe potuto fare ancora più del male al suo amato.

“Ho solo un desiderio da esprimere. Poi, andrò via” disse la stella

“Per non tornare mai più, immagino” aggiunse la strega.

“Va bene, accetto. Ma a patto che tu mi faccia vedere, ora, dove si trova il castello”

La strega sbuffò, poi chiamò il suo corvo malefico, facendo dei segni nell’aria. Questi arrivò immediatamente, guardando beffardo la stella, con una sfera di cristallo tra le zampe. La strega disse alla stella di avvicinarsi alla sfera, deposta dal corvo sull’erba. La stella guardò il corvo e lo temette, ma decise di correre il rischio. Nella sfera, vide il suo castello in un paesaggio meraviglioso, circondato da ninfe dei boschi e ruscelli e fiumi. Quell’immagine le congelò il cuore e per la prima volta in vita sua, provò un sentimento umano: la gelosia.

“Vedi com’è felice il tuo amico castello? Di certo non ha bisogno di te!” aggiunse e ridendo beffardamente, disegnò un cerchio nella neve e pronunciando un rituale, scomparve. Non prima, però di averle urlato, ‘Ricordati dell’accordo e lascia perdere il castello”.  

La stella era confusa: aveva cercato di salvare chi non voleva essere salvato: dunque tutto, persino la musica che aveva sentito, era frutto della sua immaginazione. E come aveva osato lei, che era una stella, affezionarsi a una creatura così diversa e distante da lei? Pensò che le sue colleghe stelle fisse avessero ragione, che c’è un ordine che va rispettato, sia per le faccende celesti che per quelle terrestri. Che lei era una stella sbagliata perché aveva vissuto esperienze che non aveva saputo, poi, giustamente interpretare: da sempre, aveva ignorato i grandi codici delle leggi eterne, che tutte le stelle conoscevano a memoria. La stella ebbe pesanti dubbi su di sé, ma era la tristezza per il suo amico scomparso che non le dava tregua. Ma decise che non sarebbe andata più in quel luogo dove, prima, il suo amico sorgeva. E ogni volta che vi passava accanto, andava più veloce della luce. Fu in una di quelle triste notti che, sedendo sulla cima di una montagna molto distante da quel luogo, sentì ancora quella musica. E quella musica era in ogni luogo perché era dentro sé. Sentii tutta la compassione verso il suo castello e capì che la strega le aveva mentito, che il castello non era felice e che l’aspettava. Con molta probabilità anche la storia dell’incantesimo era stata inventata, per nascondere la verità. Fu così che si ricordò il consiglio della sua ‘stella errante’ e prendendo la chiave con la parola magica, iniziò a raccontare una storia, lasciando che sgorgasse dal suo cuore, qualunque fosse. Poi chiese al vento di portarla al suo amore, dovunque si trovasse.

“C'era una volta un bambino dagli occhi chiari come acqua di fonte, che viveva con i suoi genitori in una casa di campagna. Sin da piccolo, il bambino aiutò suo padre nella scuderia di famiglia. E imparò ad amare molto quegli animali nobili e fieri, dai quali si sentiva tanto compreso.  Soprattutto, amava quella comunicazione silenziosa, così vera, autentica. Non era possibile, infatti, barare con i cavalli, che conoscevano le emozioni e i sentimenti. I cavalli lo facevano sentire compreso e amato. E quando li cavalcava e i loro corpi si incontravano lui sentiva fiorire e vibrare, assieme alla natura selvaggia dell’animale, la sua. L’animale intuiva lo stesso amore per la libertà e questo creava, tra di loro, un legame magico, indissolubile.  Un giorno una strega che abitava a qualche metro di distanza in un casolare diroccato vide il bambino cavalcare, robusto e fiero, un bellissimo cavallo baio. E siccome non aveva avuto figli, decise di chiedere ai genitori di affidarglielo. Sua madre, una donna fiera e volitiva, si oppose quando la strega bussò alla sua porta con una cesta stracolma di diamanti e pietre preziose. Allora la strega, per vendetta, fece al bambino un incantesimo: “Quando crescerai, sarai un senza/terra! Il piacere ti legherà a diverse donne, ma sarai incapace di amare. E così vagherai, senza alcun legame importante, viandante solitario nella terra di nessuno, in cerca di amore ma incapace di darlo e di riceverlo. Il ghiaccio che io porrò sopra al tuo cuore suggellerà l’incantesimo. E il ponte rimarrà chiuso, per congelarti nella tua solitudine. E sia!” Così dicendo, fece scendere un lampo che lasciò un segno nella terra. Quel giorno, il bambino fu in preda ad uno strano torpore, tanto che sua madre si spaventò. E chiamò il dottore, ma il bambino si risvegliò. E per poco, sua madre non trasalì: il suo sguardo sembrava esser divenuto di ghiaccio. I suoi occhi erano ancora belli, ma sembravano fari spenti. Il bambino crebbe ed ebbe molte donne, ma nessuna riuscì a sciogliere l’incantesimo. Così, superata la fase della gioventù, divenne un uomo solitario, dedito soltanto alla cura dei suoi cavalli e del suo giardino che, a discapito dell’incantesimo, rivelava la sua sensibilità d’uomo. Fu in un tardo pomeriggio di giugno che, proprio mentre si prendeva cura del suo giardino, dall’altra parte del muro a secco dove vi era una casa rimasta per parecchio tempo disabitata, vide una donna. Aveva lunghi capelli neri e labbra rosse di melagrana e indossava un vestito bianco. La donna aveva tracciato un cerchio innanzi alla sua casa e all’interno, vi aveva acceso un fuoco, attorno al quale danzava, facendo volteggiare i suoi capelli neri come piume di corvo. Mentre pensava che fosse una donna bella, ma parecchio strana, sentì approfondirsi la ferita nel suo petto e dovette premere per non sentirla dolorante. La donna si accorse di essere osservata e si voltò nella sua direzione. I loro occhi si incontrarono e in quelli scuri della donna gli occhi dell’uomo parvero acquistare uno scintillio. La donna si rivelò audace e gli si avvicinò, porgendogli la mano. L’uomo, che non aveva perso le sue abitudini da seduttore, le prese la mano e la baciò ma, subito pentito, tornò indietro. La donna rimase turbata e un poco offesa da quel gesto e tornò indietro un po’ pensierosa. Ma quell’uomo l’aveva colpita e ad ogni passo, si voltò indietro per vedere se lui avesse cambiato idea. Nel frattempo, la strega, da una sfera di cristallo, vide tutto ed ebbe timore che quella donna riuscisse a sciogliere l’incantesimo. Quella donna, infatti, possedeva un segno e sapeva benissimo, la malvagia, che quel segno apparteneva alle sciamane. Perché solo le sciamane sono in grado di sciogliere gli incantesimi. Così convocò l'assemblea delle streghe che, visto il caso eccezionale, organizzarono un sabba. Qui, cercarono di avere informazioni sulla donna, ma nessuna riuscì a vederci chiaro. Tutto quello che compresero era che era di stirpe regale e il mistero che circondava la sua vita la rendeva, in qualche modo, impermeabile alle loro trame. Un osso duro, dunque. Il sabba si svolse con invocazioni e danze sfrenate. Dopo, decisero di far morire la donna. Ma una stella errante vide e sentì tutto e lo riferì alla donna che, ossedendo poteri straordinari, non solo riuscì a schermirsi, ma conobbe anche il perché dell’odio feroce di quelle streghe. E la stella, così, gli riferì dell’incantesimo. E lei sentì tenerezza e amore per quell’uomo dal cuore di ghiaccio e capì che avrebbe potuto liberarlo solo liberando l’Eros, la forza che è al principio. Fu così che una sera di eclissi lunare, lei accese il fuoco e iniziò a danzare attorno ad esso. La sua pelle d’alabastro, rischiarata dalle fiamme sanguigne, disegnava la luna nuova del suo corpo morbido, flessuoso che danzava mentre il vestito aderiva alle morbide curve. L’uomo l’osservò, fino alla fine, nascosto dietro una siepe. E lei danzò ogni sera e danzò solo per lui. Danzò con la luna e senza luna. Danzò a piedi nudi. Poi, una sera, lei lo vide o lo invitò. Si amarono e per lui, fu come se una calda bufera si abbattesse sul suo corpo, risvegliando l’antico dolore sopito. L’uomo non rimase con lei, ma fuggì, nello stesso modo in cui fuggiva dalle altre: come un ladro. Si incontrarono altre sere ma sempre, lui, fuggiva. Ma, in una delle sue solitarie sere lui sentì qualcosa una fiamma salire lungo la spina dorsale e sentì tutto il dolore che, in tutta la sua vita, aveva represso. Corse a cercare quella donna, sapendo che aveva qualcosa di diverso, che era importante. Quella stessa sera, la donna aveva pianto sul letto di rose dove, dopo aver disegnato un cerchio, aveva visto un uomo confuso con, alle spalle, un’ascia spuntata. Per terra, c’erano dei giocattoli rotti, un cavallo di stoffa, sfere di vetro appannate e un camino con della brace già consumata. Le pareti erano spoglie e su di esse, vi si riflettevano figure angoscianti che paralizzavano al solo guardarle. Lei sentii questa tristezza senza fine ed entrò in quella stanza. In quell’istante lui entrò nella sua stanza. Fu allora che lui capì il suo amore e per la prima volta in vita sua, pianse. Pianse sui suoi capelli. Pianse sul suo profumo e le sue lacrime sciolsero il gelo sul suo cuore, rompendo del tutto l’incantesimo. Lei, senza staccare la mano dalla sua, andò alla finestra e la aprì. Erano in un castello, ma il ponte era abbassato e una vegetazione lussureggiante e festosa lo circondava. La donna aveva sciolto l’incantesimo, perché era stata l’unica ad essere entrata nella sua stanza segreta, sfidando il dolore e la morte, anche col ponte sollevato. Con il suo amore aveva eliminato il sortilegio della strega e guarito il suo cuore. Per un attimo, l’uomo tornò il bambino dagli occhi chiari di fonte. Lui la strinse a sè e, subito dopo, udì qualcosa: il cavallino di stoffa si trasformò in un unicorno alato. E l’uomo e la donna volarono verso un paesaggio nato dalla sua sfera di vetro, che ritornò brillante. Un paesaggio che solo i veri amanti conoscono. Un paesaggio che è il paradiso di quanti hanno avuto la forza dell’amore. 

Quando la stella finì di raccontare la storia e il vento l’ebbe diffusa alle quattro direzioni, riapparve, innanzi a sé, il castello dalla porta d’oro. Il ponte levatoio era abbassato e la patina di ghiaccio si era disciolta, formando un fiume rigoglioso. Qui si intravedeva l’immagine di un bambino con occhi di fonte. La porta d’oro del castello, aperta, spandeva intorno un profumo di festa. Sul ponte un uomo e una donna danzavano, tenendosi per mano. E tutto il villaggio accorse per visitare il castello, trasformato dalla musica portata dalle parole della stella: erano state le parole giuste il vero ponte, capace di rompere l’incantesimo.



[1] Manli Cortellazzo e Michele A, Cortellazzo (a cura di),L’Etimologico minore, Zanichelli, pag.572

 Angelo Naclerio - 27/02/2023 16:19:00 [ leggi altri commenti di Angelo Naclerio » ]

Ciao Annalisa cara, sono finito qui per caso, o forse perchè mi sono sempre piaciute le fiabe, storie, penso, per tutte le età. Ambiziosa la tua idea (come spieghi nell’introduzione, la quale mi fa pensare che forse anche tante poesie iniziando dal certe mie meriterebbero una introduzione..) e qui bravamente realizzata: bella! Come è carico di bellezza quel ribadire finale che le parole portano musica, musica che è nel cuore, che è tutto intorno in tutto l’universo.
Buon pomeriggio e buone scritture
PS a proposito di etimologia:
Canto rimanda alla radice sanscrita "Kan" : il respiro vitale "an" che come la luce divina si espande tutto intorno "k" che indica: sospirare, suonare, gioire, cantare.
Ed è affine a "Kam" che significa amare, bene, da cui "Kama" cioè amore, desiderio: l’unione tra la luce divina "Ka" e la realtà finita dell’uomo "M", l’incontro tra infinito e finito", da cui appunto: K-amare.
Non a caso mi vien da pensare nella tua fiaba sono protagonisti il cielo- la stella e la terra-il castello.. ma forse tutto questo è solo il mio troppo fantasticare. Ciao

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